Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

lunedì 26 agosto 2013

Da "Milioni di milioni", di Marco Malvaldi (Sellerio editore Palermo, su licenza per Mondolibri, 2012)



Ancor prima di arrivare in paese, la strada che porta a Montesodi Marittimo non è di quelle a cui uno possa restare indifferente.
Il tragitto, una volta presa la svolta che indica "Campagnaia-Montesodi M.mo" in un banale bianco su fondo blu che non lascia presagire nulla di quanto vi aspetta, incomincia quasi subito a salire e a snodarsi in modo cocciuto tra i boschetti di lecci; un po' come se volesse dimostrarvi che è troppo facile fare come le strade comuni e cercare il tracciato di minima azione tra le valli che si formano in mezzo alle colline, e che una carreggiata in salute può fare di meglio.

(...)

Le tante cose che aveva detto il sindaco aprendo il dopocena, pur confuso dai fumi dell'alcol, erano tutte esatte; in particolare quella relativa alla cucina dell'ottimo Stelio. Tanto più che un'occhiata al menù, che sembrava inesorabilmente quello della trattoria toscana da tre soldi - "antipasto misto con prosciutto e crostini", "tagliolini al tartufo", "lepre al forno colle patate", il tutto scritto a mano e tra virgolette con un pennarellone su un foglio di carta gialla - aveva abbassato parecchio le aspettative di Piergiorgio.
In più, c'era stato l'incidente diplomatico, quando il padrone e cuoco del ristorante in persona era arrivato a servire l'antipasto al tavolo principale - sindaco, ospiti, consiglieri e persone di una certa qual cultura - e si era accostato alla filologa con in mano un bel piattone di prosciutto toscano tagliato bello erto e di crostini di fegatelli. La ragazza, voltatasi, aveva alzato una mano e detto in tono gentile:
- Io sono vegetariana.
L'oste, con la destra libera, aveva afferrato la mano della ragazza e l'aveva stretta con entusiasmo.
- Piacere, signorina. Io sono Stelio.
E le aveva stioccato sotto il naso il piatto, con orgoglio.

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Piergiorgio, che fino a quel momento aveva ascoltato Margherita osservando con inquietudine crescente come la palpebra del pubblico si facesse calante, si alzò in piedi, consapevole di dover affrontare l'ostacolo più temuto dagli oratori di ogni tipo.
La platea stordita.
Non quella ostile, la cui inimicizia può essere (e spesso è) causa di scontri accesi e vivificanti.
Non quella plaudente che ride anche quando chi parla racconta una barzelletta dell'epoca Liberty.
Non quella di circostanza che annuisce e fa grandi cenni di approvazione col capo, tra singoli membri o vicendevolmente tra vicini di posto, mentre pensa allegramente ai cazzi suoi.
No, la cosa peggiore è la platea anestetizzata, addormentata, che non aspetta altro se non che il supplizio finisca e che ci si possa alzare tutti. La platea da quinta ora di scuola, che è stata immersa in una minestra di discorsi per quattro ore di fila ed è satura di equazioni, rivoluzioni e altre informazioni, e non ne può semplicemente più.

(...)

Se c'era una cosa che Piergiorgio invidiava alle persone, era l'autorità: quella vera, che si acquisisce nel corso di una vita, e che non si compra coi soldi, ma viene dalla piena consapevolezza da parte degli altri, amici parenti o sconosciuti, che i tuoi gesti e le tue parole pesano come macigni.

(...)

Dopo aver messo lo zucchero nella tazzina vuota, la signora la appoggiò sul piano della macchina espresso e premette un pulsante, non senza una certa difficoltà. Mentre il caffè sgorgava, prese un piattino con un cucchiaino e lo mise accanto alla macchinetta; quindi porse a Piergiorgio un bicchiere con due dita di acqua.
- Lo zucchero prima del caffè?
- Come si fa a Napoli. Va messo prima del caffè, sennò rovina la cremina che si forma in superficie. E, visto che la vedo inesperto, glielo dico subito: l'acqua va bevuta prima. Così la bocca si pulisce bene di tutte le schifezze e l'aroma resta più a lungo.
Mentre Piergiorgio sorseggiava, la signora gli mise davanti il caffè.
- L'unica volta che ho portato mio marito a Napoli, gli avevo detto che nei bar della città di solito il caffè viene servito già zuccherato, e siccome lui lo beveva amaro lo avevo messo in guardia. Se lo vuoi amaro, chiedilo prima.
La Zerbi, che si era seduta, si rialzò per mimare meglio la scena.
- E allora lui, nel bar più antico del Vomero, al caffettiere dice che vuole il caffè senza zucchero. E il caffettiere lo guarda un po' stupito, ma esegue. Gli porta l'acqua, il caffè, e mio marito senza battere ciglio prima si beve il caffè, e poi l'acqua. Il caffettiere lo guarda posare il bicchiere, poi lo guarda negli occhi e dice "Pure!". E va via.

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Ma te guarda lì che casino. Il sindaco, il dottore, la governante, il maresciallo e il prete.
Arrivo nel paese di Asterix, e dopo una settimana mi ritrovo dentro Cluedo.

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 - La scienza trova la verità, va bene, ma devi ammettere che la letteratura aiuta a sopportarla.

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Il tifo degli autoctoni era quanto di più grezzo e scorretto si possa immaginare, e se la prendeva con tutti; con i giocatori avversari (tutti figli illegittimi), con molti giocatori della propria compagine (tutti omosessuali) e, in mancanza di meglio, con l'arbitro (che, con tutta probabilità, doveva essere sposato con la madre di uno dei giocatori della squadra avversaria).

(...)

Il sospetto venne indotto dal fatto che, dopo la visita del maresciallo a casa della figlia e del genero, dall'abitazione dello stesso Rolando Giaconi si erano levate delle urla disumane. La voce era indubbiamente quella di Rolando, e le parole si distinguevano con facilità: questo anche grazie al fatto che le parole usate da Rolando erano principalmente due, ovvero a) il nome della città conquistata da Ulisse con uno stratagemma e b) il femminile dell'animale in cui i compagni dello stesso Ulisse erano stati trasformati dalla maga Circe, mentre facevano ritorno a casa. La ripetizione reiterata dei due termini omerici con voce stentorea aveva fatto il resto, e informato con facilità il paese tutto che Maria Zandonai era, dal punto di vista del marito, una grandissima puttana.

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