Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

domenica 3 febbraio 2013

Da "Lo straniero", di Albert Camus (Bompiani, 1999)




Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio: "Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti". Questo non dice nulla: è stato forse ieri.

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Grosse lacrime di stanchezza e di pena gli scendevano sulle guance. Ma, per via delle rughe, non gli colavano giù; di distendevano, si raccoglievano, e formavano una vernice d'acqua su quel viso distrutto.

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Il cane, da parte sua, ha preso dal padrone un modo di camminare tutto curvo, col muso in avanti e il collo teso. Sembrano della stessa razza e tuttavia si detestano. Due volte al giorno, alle undici e alle sei, il vecchio porta il suo cane a passeggio. Da otto anni non cambiano il loro itinerario. Si può vederli lungo la rue di Lyon, il cane che tira l'uomo fino a che Salamanno inciampa; allora il vecchio bastona il cane e lo insulta. Il cane s'accovaccia per il terrore e si impunta. A questo punto tocca al vecchio tirarlo. Quando il cane non se ne ricorda più, ricomincia a tirare il padrone e di nuovo è battuto e insultato. Allora restano tutt'e due fermi sul marciapiede e si stanno a guardare, il cane pieno di terrore, l'uomo di odio. È cosí tutti i giorni.

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Senza guardarmi in faccia mi ha chiesto: "Non me lo prenderanno mica, no, signor Meursault? Certo, me lo restituiranno. Altrimenti cosa sarà di me?" Gli ho detto che il Canile teneva i cani tre giorni a disposizione dei proprietari e che poi ne facevano quel che volevano. Lui mi ha guardato in silenzio. Poi ha detto: "Buona sera". Ha chiuso la porta e l'ho sentito che andava e veniva. Il suo letto ha scricchiolato. E dal piccolo rumore strano che mi è giunto attraverso la parete, ho capito che stava piangendo. Non so perché ho pensato alla mamma.

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E furono come quattro colpi secchi che battevo sulla porta della sventura.

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Maria mi ha gridato che bisognava sperare. Le ho detto: "Sí", e intanto la guardavo e avevo voglia di stringerle la spalla sopra il vestito. Avevo voglia di quella stoffa fine e non sapevo che cos'altro, se non quella stoffa, bisognasse sperare. Ma era certo questo che voleva dire Maria, perché sorrideva sempre.

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Avevo letto, sí, che in prigione si finisce col perdere la nozione del tempo. Ma questo non aveva molto senso per me. Non sapevo, prima, fino a qual punto i giorni possono essere lunghi e corti allo stesso tempo. Lunghi a vivere, senza dubbio, ma talmente distesi che finiscono per traboccare gli uni sugli altri. Cosí perdevano il loro nome. Le parole ieri o domani erano le sole che conservassero un senso per me.

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Nell'oscurità della mia prigione semovente ho ritrovato a uno a uno, come dal fondo della mia stanchezza, tutti i rumori familiari di una città che amavo e di una certa ora in cui mi avveniva di sentirmi contento. Il grido dei giornalai nell'aria già calma, gli ultimi uccelli nel piazzale, il richiamo dei venditori di sandwiches, il lamento dei tram nelle svolte delle vie alte, quella sonorità del cielo prima che la notte si appesantisca sul porto, tutto questo ricomponeva per me un itinerario da cieco, che conoscevo bene prima di entrare in prigione.

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Non so quante volte mi sono chiesto se esistono esempi di condannati a morte che siano sfuggiti al meccanismo implacabile, siano scomparsi prima dell'esecuzione, abbiano rotto i cordoni di agenti. E allora mi rimprovero di non aver mai fatto abbastanza attenzione ai racconti di condanne a morte. Bisognerebbe sempre interessarsi di queste cose; non si sa mai quello che può succedere.

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Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo cosí simile a me, finalmente cosí fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora.

2 commenti:

  1. Ciao,
    non mi ricordo da quale blog sono partita per arrivare qui, ma non importa,
    Ho trovato libri e autori, alcuni li conosco, di altri ho sentito parlare, altri ancora a me sconosciuti, ma ho trovato pagine, in un modo o nell'altro, per me attraenti.
    Marilena

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  2. Cara Marilena,
    lo scopo del mio blog è raggiunto e racchiuso nel suo commento. Grazie!
    Prima consumavo e impilavo kg di carta e inchiostro, poi ho deciso di appuntare qui i brani che mi colpiscono. E che spero colpiscano molti altri!
    Grazie mille per l'attenzione e spero di riportare stralci che possano continuare a incuriosirla.
    Un cordiale saluto,
    Daria

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